Come Napoli per il turismo internazionale è sempre stata Vesuvio e canzoni, così Genova fino a pochi anni fa era la cattedrale di San Lorenzo ed il cimitero di Staglieno. Eppure c’è molto altro
Di Mauro Ricchetti
Oggi la nostra città, che sta subendo un’indubbia trasformazione, sembra diventata quasi esclusivamente «centro storico», dove episodi architettonici spesso insigni sono soffocati da un notevole degrado del tessuto urbano che sovente allontana e respinge. Il turismo viene massicciamente indirizzato verso l’Acquario e il Porto Antico, quest’ultimo in via di progressiva trasformazione in una sorta di luna park stabile dove di «antico» non c’è rimasto quasi nulla.
Tuttavia esiste un’altra Genova, ancora tutta da scoprire, forse meno nota, perché è quella di tutti i giorni, costruita nei primi decenni del 1900: quella di via XX Settembre, con le traverse di via Maragliano, via Cesarea, fino ad arrivare a via Roma: la zona del centro, dove si svolge la vita più intensa e commerciale della città.
Abbiamo mai osservato con attenzione o alzato lo sguardo in alto verso le facciate degli edifici di via XX Settembre? Ci siamo mai accorti dei massicci palazzi con le grandi date di costruzione scolpite sui portoni e tutte comprese tra il 1902 e il 1930?
Questo è il periodo dello stile Liberty o Art Noveau che caratterizza indiscutibilmente la nostra città. Per anni abbiamo disdegnato questi eleganti palazzi, giudicati con sufficienza, tutti compresi nella ricerca del funzionale, dell’assoluto razionale. Il nostro disprezzo per ciò che sembrava inutile, superato, per il particolare decorativo, ha invece assopito la nostra fantasia e la stessa esuberanza dello spirito umano: la nostra stessa libertà di pensiero.
Le lisce pareti vetrate degli odierni edifici, tutte uguali, sono solo la fredda e alienante immagine di una città che allontana, quasi una prigione che respinge. Nei vecchi palazzi di via XX Settembre, con le loro irrazionalità, la distribuzione interna spesso poco funzionale, le facciate così ricche di particolari assurdi, di sculture grottesche, di colore e forme diverse, c’è almeno un tentativo di personalizzare un’opera, una ricerca di libertà espressiva e di gioia di vivere.
Nel decorativismo del Coppedè dell’edificio all’angolo tra via S. Vincenzo e Via XX Settembre, quasi gravato da una confusione stilistica derivata da vaghe influenze cino-giapponesi ed egizie, vi è un indubbio apporto di invenzione non solo a livello decorativo, ma anche strutturale; soprattutto è un edificio che si colloca con prepotenza nel tessuto urbano, caratterizzandone scenograficamente il contorno. Indubbiamente il palazzo appare come una dimora principesca, illusoria e vana, più che una casa di abitazione, ma non certo una “macchina per abitare”, razionale forse, ma estremamente noiosa.
Anche le logge di questi palazzi – i balconi festosi, le brutte teste delle cariatidi che sostengono i grandi sbalzi dei mensoloni modellati dalla luce – sono comunque tutti episodi da osservare con attenzione, non fosse altro che per la perfetta esecuzione dei dettagli. Le opere del Coppedè si distinguono subito, come il palazzo di via Maragliano al numero 2, dove il decorativismo diventa esasperato divertimento a puro livello di forma.
Ma esiste a Genova anche un Liberty forse più nordico e meno volgare, come si può vedere in certi palazzi di Via XX settembre alta, dove i piccoli balconcini poligonali si ripetono sulle facciate, espressione di una raffinata eleganza, che ricordano esempi di Torino e Parigi. Tutto il centro di Genova è in gran parte di influenza Liberty, sorto in quel periodo in cui l’uomo ritornava ad essere creatore, rivelando una sua vitalità in parte assopita dal rigore neoclassico, quasi rivivendo un nuovo rinascimento, più a livello di forma ma pur sempre ricco di entusiasmo e di amore per la vita.
Possono essere portati come esempi due edifici: uno al numero civico 29 di via XX Settembre, opera dell’architetto Orzali, l’altro il Palazzo dei Giganti progettato dell’architetto Carbone; edifici profondamente vissuti ed elaborati da abili professionisti dotati di grande fantasia creativa. Che cosa rimarrà invece delle odierne case di via Donghi, di via Berghini, o dello stesso “Biscione”, delle banali palazzine di Albaro e degli anonimi edifici del dopoguerra, copie mediocri di esperienze lontane e inadeguate per la nostra città? Queste unità abitative rimarranno soltanto per svolgere il ruolo di contenitori, scatole per chiudere l’uomo in un suo quadrato senza vista mare e senza verde, anonimi palazzi avulsi dal contesto della città e della sua storia.
Forse è giunto il tempo di dirlo. L’uomo libero preferisce una casa meno razionale, uno spazio meno calibrato per le sue esigenze studiate a tavolino. Ama le grandi facciate decorate e le brutte teste di donna che sostengono i mensoloni a sbalzo e tutti quei liberi giochi del Coppedè e dello stesso Gaudì di Barcellona con le ringhiere contorte e le facciate ondulate: irrazionali certo, ma pur sempre opera di un genio creativo.
Il pericolo odierno, almeno per Genova, è che i restauri di queste facciate vengano affidati a professionisti desiderosi solo di lasciare tracce del loro passaggio. È l’errore più macroscopico ed incolto che si possa compiere. Il restauro deve essere privo totalmente di invenzione: vanno lasciati i colori, i decori, anche i difetti dell’opera originaria. E per favore, almeno non dipingete di giallo ocra e arancione le facciate liberty della nostra città.
Lavateli soltanto, questi edifici, senza tinteggiature con pitture acriliche dai colori squillanti. Essi sono opere d’arte, anche se forse nessuno l’ha mai detto fino ad oggi. I palazzi liberty di Genova sono espressioni di un mondo nuovo, costituito da idee innovative e forza vitale. Dimostrazione di quell’entusiasmo creativo che nel corso degli ultimi trent’anni abbiamo tristemente perduto, guidati dai fili di un’informazione livellatrice e troppo digitalizzata, spesso travolti dall’ansia del vivere quotidiano.
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