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Un gladiatore di nome Gianna

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Reduce dal concerto di Genova, con tanto di infortunio, la rocker di Siena si racconta

Non la ferma nessuno. Irrequieta, stropicciata, cruda, irresistibile. Gianna Nannini è fatta così, piena di semplice schiettezza tutta toscana. E di tanto istinto. 

Prendete quanto accaduto all’RDS Fiumara di Genova, durante la tappa ligure della tournée di Fenomenale, ultima fatica della rocker senese, dedicata alla figlia Penelope. Una caduta accidentale dal palco, l’apprensione, un ginocchio gonfio come un melone e il ricovero precauzionale in ospedale. La sera successiva Gianna era a cantare a Montichiari, dinanzi a quattromila persone rapite dalla sua incredibile vitalità. «Cantare è andare sempre in cerca della luce, per uscire dal buio» ha affermato la Nannini. «Quando ti scontri con una dura realtà, una caduta, un infortunio, tocchi per un attimo il fondo e tutto sembra finito, poi si riprende la corsa, cammini a passi falcati su per le scale della vita che ti sei scelto, e sali e più sali più il tempo sembra non finire mai, ma sai che quella è la tua missione».

FIERA DI ESISTERE – Fenomenale Tour ha fatto riabbracciare Genova all’artista toscana. «Una città meravigliosa, che aggiungere? Chi ci mette piede per la prima volta crede che appartenga ad un altro mondo. Genova è piena di mistero, la gente ti cammina intorno e subito non te ne accorgi, ma quando ti conoscono e ti riconoscono sei uno di loro. Ho visto un pubblico pieno di passione, di affetto, di amore. Ecco perché amo questa città, ti regala amore a tonnellate, ti fa sentire una creatura fiera di esistere. Poi Genova è come me, indipendente e orgogliosa, dentro morbida e passionale e fuori una corazza inattaccabile».

Chi è mamma Gianna Nannini? «Una che non ha mai confuso il giorno con la notte e che otto anni fa, con la nascita di quella meravigliosa creatura che è mia figlia Penelope, dorme più di giorno che di notte!». Sorride compiaciuta. «Essere mamma alimenta i sogni, li aiuta a continuare, batteria alla mano ti senti di abbracciare la vita, di entrarne a fare parte dalla porta principale».

QUARANT’ANNI DA GIAN BURRASCA – A Gianna non è mai stato semplice farsi largo in un mondo solo all’apparenza dorato qual è quello della musica e dello spettacolo. Eppure da 40 anni la Nannini è la rocker italiana più amata in Francia e Germania, con oltre nove milioni di dischi venduti in carriera. «I giovani si sono identificati col mio carattere da Gian Burrasca, che di giorno riposa per far casino la notte. Che la musica ce l’hanno negli occhi, e che le canzoni le elevano come preghiere di fuga e dissenso dalla normalità. Vengono alla mente motivi come “Vieni ragazzo” o “Profumo”, dove si passano le gioie ai sogni, ubbidendo a quel richiamo che si chiama vita. Senza sogni non si va da nessuna parte, lo sapete?».

E tutta questa irrequietezza come si può spiegare? «Con la voglia di sentire più il cuore che il cervello, difficile sia il contrario quando sei una rockstar. Ma dietro a questo Gian Burrasca ci sono tanti lati di donna, vissuta a Siena come un fantino del Palio, sempre di corsa per dimostrare di sapertela cavare senza troppi giri».

UNIVERSO DONNA – In “Amore gigante”, ultimo disco prodotto e che costituisce parte fondamentale di Fenomenale Tour, Gianna Nannini ha messo al centro dell’attenzione la donna, i suoi desideri, e soprattutto le sue lotte per liberarsi dalle spire di una continua strumentalizzazione basata su indifferenza e brutalità. 

«La vera vergogna è provare vergogna, e forse per scoprire l’universo donna in tutta la sua forza e delicatezza la donna stessa dovrebbe avere una faccia come il c…

Vengono schiavizzate, usate, uccise le donne, ma nessuno che vede, nessuno che sa, nessuno che immagina. Escono quattro foto ed otto mele, per dirla come dicono da me a Fontebranda (il cuore della Contrada dell’Oca dove la Nannini è nata, ndr). Questo disco è la forza delle donne, lo ieri e l’oggi, è un inno all’amore incazzato: coloriamo ed inondiamo il mondo non solo di fiori ma di canzoni, il motto della tournée. Alzando la testa eviti di farti mettere sotto e i neuroni si irrorano di sangue».

 

E’ vero che non c’è più amore? «Questa è la più grossa bugia, è che l’amore è soffocato dai pregiudizi e dalle considerazioni affrettate. Allora perdi le briglie e non ti sai più governare, ti vince l’imbarazzo: la parola chiave è Libertà. Amare è lasciarsi andare, al massimo, senza freni. Le donne sono straordinarie nel lasciarsi andare, l’uomo in questo ha tanta, troppa paura».

L’amore più bello? «Sempre, come dice la mia canzone. Bello, bello e impossibile. Sentilo sogno, desideralo. E sarà fantastico». E ancora: «Vivo l’amore con fiducia totale, senza limiti o restrizioni. Nella mia vita ho amato uomini e donne, sono una pansessuale che crede nell’Amore gigante, il donarsi l’uno all’altro con trasporto di intenti. Dopo la nascita di Penelope l’ho abbracciata ancora più forte, questa convinzione, vado avanti vivendo come un vero gladiatore».

Eccola, Gianna Nannini. Se non ci fosse dovrebbero inventarla. Ma probabilmente sarebbe impossibile!

Di Leo Cotugno

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Genova, l’abbraccio a Bob Dylan dopo venticinque anni

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Bob Dylan: ne parli e il tempo si ferma. Dopo 26 anni – estate 1992, celebrazioni Colombiane con il menestrello di Duluth ospite d’onore per i 500 anni della scoperta dell’America – il più grande cantautore di ogni epoca della storia è tornato a Genova per la nuova tappa del suo “Neverending Tour”, il giro del mondo che non ha mai fine. 

Robert Allan Zimmermann, di scena il 25 aprile, anniversario della Liberazione, all’RDS Stadium della Fiumara ha iniziato a suonare e a incantare i 4.000 astanti il religioso silenzio alle ore 21, puntualissimo. Quasi subito esauriti i biglietti in ogni ordine di posti, per un nome titanico che continua a radunare attorno a sé milioni di spettatori. Chi è riuscito a far parte dei 4.000 (di fronte alla Fiumara c’era perfino chi chiedeva un biglietto suonando, in perfetto stile busker) potrà dire orgogliosamente «io c’ero» a figli e nipoti; ma chi non è stato presente ha potuto comunque respirare quell’aura di grande comunicatore della cultura che la vita artistica di Dylan ha da sempre trasmesso. 

IL MOVEMENT E LA CONTESTAZIONE – Per natura proverbialmente schivo, amante della solitudine interiore e della letteratura filosofica, Bob Dylan non è stato solo un immenso scrigno di cultura musicale. Così lo definisce Donald Sugerman, già biografo di alcuni dei grandi della musica anni Sessanta, l’ex leader dei Doors Jim Morrison e la leggendaria Joan Baez, con cui Dylan cantò più volte negli USA e nel 1964 a Londra. «Il mondo artistico di Dylan è la più grande tela pittorica che ci è permesso di ammirare. È stato scrittore, poeta, compositore, filosofo di massa e comunicatore di cultura rivoluzionaria: parlarne vale riassumerne con questi concetti sei decenni di musica. Bob si è affermato personaggio chiave del Movement, il movimento di protesta americano, con una serie di testi che la letteratura e la storia americane stesse hanno fortemente ostacolato e successivamente chiuso. In lui è vivo il tema innovativo della politica, della sociologia e della filosofia che sfida le convenzioni della musica pop appellandosi alla controcultura del tempo”. 

LA QUARTA VOLTA IN ITALIA – Per Bob Dylan il Neverending Tour 2018 rappresenta un importante ritorno nel nostro Paese. Il giovanissimo Robert Zimmermann, allora 21enne, era giunto a Verona nel 1962, dove si sarebbe dovuto recare per approfondire alcuni studi storico-politici, e dove si trattenne per soli otto giorni prima di tornare negli States. La seconda volta del cantautore fu nel 1984: l’anno del suo primo concerto italiano, che per molti fu un vero e proprio colpo di scena. Prima di lui all’Arena di Verona si erano esibiti solo alcuni dei nomi storici della musica anni Settanta, come Neil Young, Joni Mitchell e Lou Reed. Dylan avrebbe dovuto cantare assieme all’amica fraterna Joan Baez (in Italia insieme a lui nel 1962) e richiamò una folla di curiosi. «Ma quel concerto» ha ammesso in una recente intervista durante una conferenza al Teatro degli Arcimboldi di Milano «fu per tanti una grande delusione: la band degli strumentisti era stata messa assieme solo due mesi prima dell’evento. Era il 28 maggio 1984, suonammo per due serate. Greg Sutton al basso, Colin Allen alla batteria, Ian Mc Laglan alle tastiere con Mick Taylor, ex Rolling Stones alla chitarra solista». Per la cronaca, quel concerto finì con l’ovazione per Hurricane e Blowing in the Wind, che Dylan cantò accompagnato in assolo nientemeno che da Carlos Santana. Brividi sulla pelle. 

L’UOMO E LA STORIA – Non sono sufficienti gli eccezionali riconoscimenti tributatigli a rendere l’idea del carisma di Bob Dylan, che, pure, ebbe non pochi problemi con i critici musicali della passata generazione. Dopo l’uscita del suo secondo LP John Wesley Harding, datato 27 dicembre 1966, il 25enne artista venne definito senza remissione «un folksinger lento dal country banale a sfondo morale». Ma dal suo ritiro dorato nell’isola di Wight Dylan fu altrettanto caustico nel replicare a chi gli domandava chi fosse il suo amico più caro: «Wow, ecco una domanda che fa veramente pensare. Cristo, se devo pensare a chi è il mio migliore amico, credo che cadrò in una profonda e cupa depressione». 

Altra testimonianza, riportata dallo stesso Donald Sugerman, riguardo il Festival di Wight in cui il cantautore di Duluth si esibisce dinanzi a 200mila persone. «Torna sulle scene un uomo domato, dimentico delle istanze sociali di qualche anno prima, proprio mentre a Woodstock, nel celebre festival che si tiene in quel posto, nella speranza di una sua apparizione, si marcia per un mondo migliore». Bob Dylan è per la prima volta sprezzante, quasi al limite della villania: «Spero proprio di non avere avuto una qualche funzione nel cambiamento della musica popolare degli e negli ultimi anni. Stiamo iniziando a vivere in un mondo di fantascienza nel quale ha vinto Disney, la fantascienza di Walt Disney. Per questo dico che se uno scrittore ha qualcosa da dire, deve assolutamente farlo, questo è un mondo reale e la fantascienza è diventata il mondo reale, che noi ce ne accorgiamo o no».

Bob Dylan è anche l’uomo della storia in tante geniali creazioni. La rivista Rolling Stone lo glorifica come ideatore del folk rock con Bringing it all back home. Il primo ad aver pubblicato uno storico singolo, datato 1965, ad avere la durata non commerciale di oltre sei minuti: Like a Rolling Stone, considerata una delle più grandi canzoni di ogni tempo. Il primo grande album rock doppio della storia è di Dylan: Blonde on Blonde. Il video di Subterranean Homesick Blues, anch’esso del 1965, è considerato il primo videoclip assoluto nella storia della musica, così come Great White Wonder ha lanciato il fenomeno dei bootleg. 

La sfilza dei premi alla carriera di Bob Dylan è veramente impressionante. Il Grammy Award nel 2011, il Polar Music Prize, equivalente del Nobel alla musica, nel 2000, il Premio Pulitzer «per il suo profondo impatto sulla musica pop e sulla cultura americana grazie a testi di straordinaria forza politica»: questa la motivazione, nel 2006. E poi, ovviamente, il chiacchieratissimo Premio Nobel per la letteratura due anni fa, senza dimenticare la Medaglia Nazionale dell’Artista nel 2009 e la Medaglia Presidenziale per la Libertà nel Mondo nel 2009. 

GLI AFORISMI – Bob Dylan non ama – per usare un eufemismo – il contatto attraverso i media. Ma celeberrimi sono i suoi aforismi, oltre trecento, divenuti pietra miliare per addentrarsi nel suo personaggio. «Alcune verità su me stesso», disse arrivando in Europa per la prima volta, «ormai le conosco. La prima verità è che se cerchi di essere qualcuno che non sei, fai fiasco. Se non sei sincero nel cuore, non ce la farai, e inoltre non esiste successo importante quanto il fallimento». Sull’eterno dilemma politico: «Non so niente di politica» – la frase è del 1985 – «e sono incapace di distinguere quello che è di destra da quello che è di sinistra, non ragiono in questi termini. Un giorno potrò difendere un’idea che verrebbe qualificata come conservatrice e il giorno dopo, su un altro argomento, potrei sostenere una posizione che si qualificherebbe di sinistra. Non c’è destra e non c’è sinistra, c’è la verità e c’è l’ipocrisia, guardate la Bibbia, non sentirete mai parlare di destra o di sinistra». Infine sulla canzone, il suo più celebre, dopo il concerto di Verona del 1984. «Le canzoni popolari sono la sola forma di arte che descriva i tempi che viviamo. Lì ritrovi l’essenza della gente, non nei libri, né in scena, né nelle gallerie d’arte».

IL CONCERTO – Anniversario della Liberazione nel tema della libertà di espressione. Bob Dylan si è esibito per un’ora e cinquanta minuti nella tappa genovese del suo Neverending Tour accompagnato da una band di cinque strumentisti: Stu Kimball alla chitarra, Donnie Herron alla steel guitar, banjo, mandolino elettrico e violino, Charlie Sexton alla chitarra solista, Tony Garnier al basso e George Receli alla batteria e percussioni. 

Tantissimi i grandi classici, spesso con arrangiamenti in grado di renderli quasi irriconoscibili, perché da sempre Dylan gioca a demitizzarsi: Simple Twist of Fate, Highway 61 Revisited, Tangled Up In Blue, Desolation Row, Don’t Think Twice, It’s All Right, ma anche i pezzi più recenti, come Duquesne Whistle o Melancholy Mood, fino ai bis (Ballad of A Thin Man e la già citata Blowin’ in The Wind). Un tour davvero senza fine – dal 1988 al 2017 sono stati quasi tremila i concerti effettuati – che pone questo immortale della musica tra gli artisti più longevi di sempre. «Andrò avanti a lungo a fare quello che faccio, e se mi cercherete quando avrò 90 anni sarò su un palcoscenico da qualche parte» ama ripetere Dylan. L’uomo senza via di mezzo. Bentornato a Genova, cantore senza tempo. 

Leo Cotugno

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