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I segreti di San Lorenzo (prima parte)

redazione

Quando si pensa al vero centro di una città mossa come Genova, tutta conche, colline, saliscendi, per molti la risposta è una: la cattedrale di San Lorenzo.

Resa ancora più imponente dal grande stradone ottocentesco che collega Piazza Matteotti (un tempo “Piazza Nuova”) a Caricamento, la chiesa bianca e nera – con le sue torri asimmetriche, i portali di gusto gotico, i famosi leoni dall’aria un po’ triste – è un’indiscutibile simbolo della città antica e moderna. E, come tutte le cattedrali storiche, nasconde molti segreti.

Una storia tormentata

Secondo la leggenda, San Lorenzo venne costruita in seguito a una tappa a Genova del santo insieme a papa Sisto II, entrambi diretti in Spagna. Non si trattò comunque della prima cattedrale cittadino: quel ruolo, infatti, per alcuni secoli spettò a San Siro. Nella sua lunga storia, San Lorenzo ha attraversato stili e culture diverse, e mostra fiera i segni e le opere d’arte che i secoli hanno lasciato dalla facciata bicroma, segno di nobiltà, fino all’interno. L’antica chiesa medievale venne ripensata in stile gotico a metà del tredicesimo secolo, e oggi ne restano i tre portali gotici, per i quali vennero chiamate maestranze francesi; poi, a metà del Cinquecento, a Galeazzo Alessi (lo stesso della basilica di Santa Maria in Carignano, o di Palazzo Lercari-Parodi e Palazzo Cambiaso nell’attuale via Garibaldi) venne commissionato un ripensamento radicale dell’edificio, che però non venne mai portato a termine. Altre modifiche, come il restauro della scalinata e la collocazione ai lati dei leoni, arrivarono a fine Ottocento, quando venne tracciata via San Lorenzo e si abbatterono alcuni edifici limitrofi, che erano stati costruiti senza controllo, per ridare dignità al sagrato. Già, il sagrato: il vero cuore della Genova medievale.

Il sagrato della chiesa

È impossibile trovare a Genova un sagrato che rivaleggi per importanza con quello che sta di fronte alla cattedrale di San Lorenzo: qui nei tempi antichi si svolgeva la maggior parte delle attività civili, economiche e politiche. Venne creato abbattendo diversi edifici, nella fitta trama urbanistica della città medievale. Di fronte alla chiesa veniva designato il Doge (cerimonia spesso molto turbolenta), ma nei giorni comuni c’erano anche i besagnini con la loro frutta in arrivo dal contado e qualcosa di molto simile a un mercatino dell’usato. Il 24 giugno, giorno del santo patrono San Giovanni Battista, qui si vendevano le “benedizioni”, ovvero fasci di felci e foglie di noci e di sambuco ancora bagnate dalla rugiada della notte, considerata miracolosa. Ma c’erano anche tipi poco raccomandabili da queste parti: nel Settecento imperversò a lungo un bandito, «O Serronetto», che approfittava del diritto di asilo concesso a chiunque raggiungesse i gradini della cattedrale per compiere i suoi furti nella zona e poi, in tutta fretta, tornare al sicuro, all’ombra della chiesa, dove i gendarmi non potevano arrestarlo. Una volta catturato venne condannato a dieci anni, ma evase ben presto e cambiò zona, scegliendo come “base” la Chiesa degli Incrociati.

A sinistra, Iacopo da Varagine con la sua Legenda Aurea

Le ferite di guelfi e ghibellini

Sul finire del Duecento, Genova era una polveriera, malgrado la vittoria contro i Pisani nella battaglia della Meloria del 1284. Come negli altri comuni italiani, guelfi e ghibellini, le fazioni che sostenevano il papato e l’impero ma che più spesso seguivano dinamiche interne, aspettavano solo il momento giusto per darsele di santa ragione. Una rivolta particolarmente sanguinosa si ebbe il 30 dicembre 1296, immortalata nei versi di un anonimo poeta volgare:

Un re vento con arsura
a menao gram remorim
enter Guerfi e Gibellin,
chi faito a greve pontura:
che per mantener aotura
e per inpir lo cofin,
de comun faito an morin
per strepar l’aotru motura,
ensachando ogni mestura
per sobranzar soi vexin.
per zo crian li meschin
e de tuti se ranguram.
Ma de tanta desmesura
pensser o a la per fin,
de chi ve li cor volpin
no ne fera con spaa dura.

Per intere giornate si combatte per le strade, finché i guelfi non hanno la peggio e si rifugiano dentro San Lorenzo. Per i ghibellini la cosa non comporta particolari problemi etici: assediano la chiesa e, per fare prima, le danno fuoco. Ci vuole l’intervento del vescovo di Genova, Jacopo da Varagine (lo incontreremo di nuovo tra poco), per porre fine allo spargimento di sangue, ma la chiesa è molto danneggiata, tanto che è necessario sostituire i colonnati interni e gran parte dei capitelli. Del resto il restyling era già stato avviato qualche decennio prima con la costruzione dei portali gotici e e delle due torri campanarie, delle quali quella di sinistra non verrà mai completata.

Un’altra ferita causata alla chiesa delle guerre intestine di Genova? La si può vedere sul portale laterale, quello di San Gottardo: i buchi sulle colonne altro non sono che i segni dei dardi di balestra scagliati durante un altro dei disordini tra le fazioni della città.

I buchi nel portale di San Gottardo

Il Sacro Catino. O il Graal?

Molti genovesi sanno che uno dei “candidati” per il Santo Graal – la coppa usata da Gesù durante l’Ultima Cena, o secondo altre tradizioni quella che Giuseppe d’Arimatea utilizzò per raccogliere il sangue di Cristo dopo la crocifissione – si trova proprio in San Lorenzo. Si tratta di una sorta di scodella di forma esagonale del diametro di 32 centimetri, in realtà un manufatto islamico del nono-decimo secolo, che però secondo alcuni è una copia fedele dell’originale.

Il Sacro Catino con il pezzo mancante

A lungo fu creduto di smeraldo, anche se in realtà è di pasta vitrea verde. A portarlo a Genova fu un condottiero illustre: Guglielmo Embriaco detto Testadimaglio, che prese parte alla prima crociata del 1099 insieme a Goffredo di Buglione e contribuì in maniera decisiva alla presa di Gerusalemme. Anche Cesarea cadde sotto gli implacabili assedi di Guglielmo, e fu proprio lì, nel 1101, nel tempio di Erode, che il guerriero ritrovò la reliquia. A raccontare la storia è ancora il beato Jacopo da Varagine, nella sua Cronaca genovese:

«E questa pietra di smeraldo ha un fulgore e una lucentezza così straordinari, che tutti gli altri smeraldi, messi vicino ad essa, perdono il loro fulgore e la loro lucentezza perde vigore a causa del suo eccessivo splendore».

Una volta giunto a San Lorenzo, il Sacro Catino non ebbe vita facile: i tentativi di furto (anche illustri, come quando l’esercito di Carlo V, nel 1522, cercò di impossessarsi del Tesoro della Cattedrale) vennero coronati dal successo nel 1806 quando Napoleone conquistò la città e portò il prezioso piatto a Parigi. Dieci anni dopo venne restituito a Genova, ma rotto in dieci frammenti. Una volta ricostruito, si scoprì che ne mancava un pezzo, che secondo alcuni è ancora da qualche parte al Louvre. Eppure c’è chi dice che i francesi non siano mai riusciti a prendere l’originale, ma solo una copia creata apposta contro i ladri: una descrizione settecentesca descrive il Catino come alto 16 centimetri, mentre quello attuale è poco più della metà.

Al momento il Sacro Catino si trova presso l’Opificio delle pietre dure di Firenze per un restauro, ma chi volesse vedere la sua più illustre rappresentazione non ha che da guardare gli affreschi di Palazzo San Giorgio, sulla facciata che dà su via della Mercanzia: la quarta statua dipinta è proprio quella di Gugliemo Embriaco, che in mano stringe il prezioso tesoro portato a Genova da Cesarea.

Guglielmo Embriaco con il Sacro Catino in mano

 

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