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Carlo Felice

Il Carlo Felice tra fiaba e storia

redazione

I prossimi appuntamenti dell’opera a Genova con la “Maria Stuarda” di Gaetano Donizetti (regia di Alfonso Antoniozzi) e la “Turandot” di Giacomo Puccini (regia di Giuliano Montaldo)

Di Daniela Masella

Il suono, l’ascolto, l’insieme musicale, le vibrazioni armoniche e melodiche, ogni stimolo creativo e artistico alimentano e rigenerano l’anima, la fantasia, l’introspezione, la mente e il corpo dell’uomo. Partendo da questa verità e prefazione vien da sé presentare ciò che il cartellone del Teatro Carlo Felice di Genova propone in primavera. Da maggio a giugno, vari e numerosi gli eventi, gli spettacoli classici e moderni, gli incontri, le conferenze, gli aperitivi, i balletti, la sinfonica e i concerti di grandi spessore.

Maria Stuarda, tragedia lirica di Gaetano Donizetti su libretto di Giuseppe Bardari, dal 17 al 24 maggio propone un allestimento in coproduzione tra la Fondazione genovese e il Teatro Regio di Parma, sviluppando così una sorta di collegamento o secondo capitolo del ciclo delle “tre regine” donizettiane (iniziato la scorsa stagione con Roberto Devereux) la cui regia è interamente curata da Alfonso Antoniozzi.

L’opera esprime sentimenti intensi e passioni travolgenti. Un esempio ne è il secondo atto, in cui il momento di estrema tensione si evince dal confronto tra le due regine, Elisabetta I d’Inghilterra e Maria Stuarda. La prima rimprovera la cugina per le sue azioni personali, private e politiche, provocando in essa una risposta violenta e fragorosa. Tale scrittura nella librettistica dell’epoca non era mai stata usata. Epiteti che Maria Malibran, prima interprete del personaggio di Maria Stuarda, nel debutto alla Scala del 1835 cantò liberamente, scatenando così una reazione di censura da parte delle autorità, che cancellarono il titolo dal cartellone dopo appena sei repliche. La trasgressione linguistica del libretto era probabilmente dovuta all’inesperienza del giovanissimo Bardari, autore del testo (tratto dalla tragedia omonima di Schiller), che appena diciassettenne dimostrò grande incoscienza. Un autore che in età adulta divenne invece magistrato e poi patriota, molto stimato da Garibaldi. Questa scena così dirompente e irreale rispetto alle regole del tempo conferì alle due figure femminili una nuova chiave di lettura per tutta la storia dell’opera precedente e per un Donizetti che era stato fino ad allora più leggero nell’Elisir d’amore e nel Don Pasquale, e quindi capace di maggiore drammaticità, quasi verdiana. Così come la duplicità tra i sentimenti privati e le cariche pubbliche, la messa in gioco nelle vicissitudini dei singoli personaggi per i valori collettivi e d’importanza storica: la protestante Elisabetta contro la cattolica Maria Stuarda. Ma anche un omaggio alla donna, alla sua profondità emotiva e al suo eclettismo caratteriale, che tramite lo stile belcantistico il compositore esaltava in maniera esemplare: Maria, Anna Bolena, Lucia ed Elisabetta del Roberto Devereux ne coniugano tutte vocalmente la stupenda espressività.

Direttore d’Orchestra Andriy Yurkevych, regia Alfonso Antoniozzi, scene Monica Manganelli, costumi Gianluca Falaschi, luci Luciano Novelli.

Personaggi e interpreti: Maria Stuarda, regina di Scozia: Elena Mosuc, Desirée Rancatore. Elisabetta, regina d’Inghilterra: Silvia Tro Santafe, Elena Belfiore. Roberto, conte di Leicester: Celso Albelo, Tatsuya Takahashi. Giorgio Talbot: Andrea Concetti. Lord Guglielmo Cecil: Stefano Antonucci. Anna Kennedy: Alessandra Palomba.

Dal 16 al 21 Giugno ritorna invece sul grande palcoscenico genovese la Turandot, dramma lirico in tre atti e cinque quadri di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni.
Direttore d’Orchestra  Giuseppe Acquaviva/ Alvise Casellati (20, 21 e 22), allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice, regia Giuliano Montaldo, scene Luciano Ricceri, costumi Elisabetta Montaldo Bocciardo e luci Luciano Novelli.

Personaggi e interpreti: Turandot: Norma Fantini – Tiziana Caruso. Calaf: Rudy Park – Mario Malagnini. Liù: Serena Gamberoni – Maria Teresa Leva. Timur: Mihailo Šljivić. Mandarino: Alessio Cacciamani. Ping: Vincenzo Taormina. Pang: Blagoj Nacoski. Pong: Marcello Nardis. Altoum: Max Renè Cosotti. Il Principe di Persia: Alberto Angeleri – Giampiero De Paoli – Antonio Mannarino. Due ancelle, Alla Gorobchenko – Roberta Cotrozzi – Annarita Cecchini – Simona Marcello.

È un opera innovativa, perfettamente in linea con la scrittura musicale che al tempo si udiva nei teatri europei; Richard Strauss ne era un esempio. Anche l’argomento era particolarmente singolare per Puccini: fu tratto da un racconto “cinese” che i librettisti suoi collaboratori attinsero dall’omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi del 1762. La protagonista non era una donna romantica, come Mimì, Manon o Butterfly, ma un’algida principessa vendicatrice e crudele, che per due terzi del melodramma dispensava morte e terrore. Per risaltare un tale temperamento femminile, il compositore costruì inedite suggestioni orientali rispetto alla Butterfly, meno seduttive ma più forti e distruttive. L’uso della dissonanza armonica, già sperimentata da Schönberg, fu uno di questi metodi musicali utile a caratterizzarne lo spirito e precorrerne lo stile dei musicisti italiani successivi a lui, come Malipiero e Casella. Il risultato fu la costruzione di una partitura in cui la famosa melodia di “Nessun dorma” era controbilanciata da intere sezioni strumentali, dove l’orchestra assume il colore del ferro e dove alle delicatezze liriche di Liù, la vittima che si sacrifica per l’amato principe Calaf, risponde il canto complesso e potente di Turandot. Anche gli ironici personaggi come i ministri dell’imperatore Ping, Pong e Pang sono subito sostituiti da scene musicali di luminosità siderale. Una partitura che per questi motivi ha sempre esercitato su tutti gli ascoltatori un fascino unico. Turandot andò in scena per la prima volta alla Scala il 25 aprile 1926. Dopo “Tu che di gel sei cinta”, intonato da Liù morente nel terzo atto, Toscanini depose la bacchetta annunciando al pubblico che l’esecuzione si fermava in quel punto per la morte dell’autore. Il completamento più eseguito è quello di Franco Alfano, basato sugli appunti originali di Puccini, ma dal 2001 esiste anche il finale di Luciano Berio, che ha seguito gli stessi schizzi, interpretandoli diversamente. Al Carlo Felice il capolavoro di Puccini va in scena nell’ormai classico, applauditissimo allestimento di Giuliano Montaldo.

Dal 6 al 9 luglio La Carmen. Balletto in due atti di Amedeo Amodio dal racconto di Prosper Merimée. Solisti e corpo di ballo: Daniele Cipriani Entertainment. Direttore d’orchestra Alessandro Ferrari, coreografia e regia Amedeo Amodio, musica Georges Bizet, adattamento e interventi musicali originali Giuseppe Calì, scene e costumi Luisa Spinatelli, assistente coreografo Stefania di Cosmo, orchestra del Teatro Carlo Felice.

Una violinista, terminata una rappresentazione di Carmen di Georges Bizet, rivive il dramma della celebre sigaraia, quasi in un sogno: la rappresentazione reale termina e inizia quella surreale.
È il sogno il motore narrativo da la Carmen di Amedeo Amodio, creata per Aterballetto nel 1995, affidata alla produzione di Daniele Cipriani.

INFO BIGLIETTERIA

Galleria Cardinale Siri 6 – 16121 GENOVA

Tel. 010/58.93.29  010 59.16.97

Email: biglietteria@carlofelice.it  gruppi@carlofelice.it

 

ORARI

Dal martedì al venerdì dalle 11.00 alle 18.00

il sabato dalle 11.00 alle 16.00

Nelle giornate di spettacolo serale un’ora prima dell’inizio

Domenica con spettacolo pomeridiano due ore prima dell’inizio sino a 15 minuti dopo

Domenica con spettacolo serale dalle 18.00 sino a 15 minuti dopo l’inizio.

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Carlo Felice

Lucia di Lammermoor, Al Carlo Felice c’è Andrea Bocelli

redazione

Opera, balletto e sinfonica: tre generi paralleli e appassionanti, che durante la stagione musicale 2018 del Teatro Carlo Felice hanno regalato vibranti emozioni e successi importanti, contribuendo a mantenere alta l’attenzione verso la richiesta cultural-creativa di un pubblico decisamente e positivamente molto più eterogeneo rispetto al passato.

In calendario, il mese di giugno parte con l’opera Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti, sei recite di cui la prima il 29 maggio. A seguire il 14 giugno il Don Qixote di Ludwig Minkus, balletto della compagnia del Teatro di Belgrado con 5 spettacoli. Per quanto riguarda la sinfonica, il 22 è il mometo di  Other worlds Music for the players, concerto dedicato ai videogiochi con un programma costruito su saghe fantasy, adventure e action game. Il 14 luglio alle 20.30 è da segnalare il balletto di Roberto Bolle and Friends, che l’anno scorso ha fatto il tutto esaurito e sicuramente anche in questa occasione sarà sold out.

Lucia di Lammermoor è un melodramma in tre parti di Donizetti su libretto di Salvatore Cammarano e vede sul podio del Carlo Felice Andriy Yurkevych, con la regia di Lorenzo Mariani, le scene di Maurizio Balò, i costumi di Silvia Aymonino e le luci di Linus Fellbom. Un allestimento nuovo, in coproduzione con la Fondazione Teatro Carlo Felice, la Fondazione Teatro Comunale di Bologna e l’ABAO-OLBE di Bilbao. Personaggi e interpreti principali primo e secondo cast: Lucia,  Zuzana Marková – Elena Mosuc, Edgardo, Andrea Bocelli – Luciano Ganci, Enrico,  Stefano Antonucci – Federico Longhi, Raimondo, Mariano Buccino – Alessio Cacciamani, Arturo, Marcello Nardis – Manuel Pierattelli, Alisa, Carlotta Vichi, Normanno, Didier Pie. 

È la più famosa tra le opere serie del compositore bergamasco, la prima assoluta ebbe luogo con grande consenso al Real Teatro di San Carlo di Napoli il 26 settembre 1835, tanto che lo stesso Donizetti autorizzò numerose variazioni per le esecuzioni in altri luoghi, allo scopo di venire incontro alle esigenze delle cantanti. Particolarmente rilevante è l’edizione creata per la prima rappresentazione francese, a Parigi in lingua, intitolata Lucie de Lammermoor, con numerose differenze rispetto alla versione italiana. Tratta da The Bride of Lammermoor (La sposa di Lammermoor) di Walter Scott, la vicenda è ambientata nella Scozia del XVI secolo nel castello di Ravenswood. 

Antefatto: La nobile famiglia Asthon, alla quale appartengono i fratelli Enrico e Lucia, ha usurpato i beni e il castello della famiglia Ravenswood, il cui unico erede è Edgardo. Lord Enrico Asthon ha deciso di far sposare sua sorella Lucia al nobile Arturo Bucklaw; la fanciulla si oppone, è profondamente innamorata in segreto di Sir Edgardo di Ravenswood, di casata ostile agli Asthon e odiato da Enrico.

Edgardo deve lasciare la Scozia e prima di partire vorrebbe chiedere ad Enrico la mano di Lucia. Ella lo dissuade, sa che il fratello non acconsentirebbe mai. I due innamorati si giurano amore eterno e suggellano la promessa con lo scambio degli anelli.

Nel primo atto Lord Asthon, per convincere Lucia a sposare Lord Arturo, ricorre all’inganno mostrandole una falsa lettera in cui Edgardo si dichiara innamorato di un’altra donna. Lucia, addolorata dal tradimento, si lascia convincere, quando sopraggiunge Edgardo, che credendosi a sua volta tradito in un impeto d’ira la maledice restituendole l’anello.

Enrico Asthon sfida a duello l’odiato Edgardo: i due si incontrano presso le tombe dei Ravenswood alla Torre di Wolferag. Intanto al castello giunge Raimondo che, interrompendo i festeggiamenti per il matrimonio di Lucia e Arturo annuncia la triste notizia: Lucia presa dalla pazzia ha appena ucciso il novello sposo! La giovane donna non è più in sé, vaneggia credendo di prepararsi alle nozze col suo amato Edgardo.

Durante il duello, Edgardo, incapace di vivere senza Lucia, pensa di farsi colpire a morte da Enrico. Alcuni passanti lo avvisano che Lucia è in fin di vita, impazzita dal dolore. Edgardo corre al castello, ma ormai è tardi: Lucia è morta e lui sconvolto si pugnala e muore a sua volta.

La regia di Lorenzo Mariani parte dal celebre quadro di Everett Millais, raffigurante Lucia che si sostiene al braccio di Edgardo: «Capisco dallo sguardo di lei – spiega il regista – un’anima che respira, dall’intimo, una trasparente bontà, ma troppo delicata e indifesa, pericolosamente pura, fino all’estremo».

Daniela Masella

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Di Daniela Masella

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