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La Via Francigena parla anche ligure

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Non è facile essere Papa alle soglie dell’anno Mille. Roma è poco più che una cloaca a cielo aperto, con i grandi palazzi imperiali ormai sepolti dalla vegetazione. Quel poco che rimane viene saccheggiato per farci mattoni. All’apice del suo splendore, otto secoli prima, la città ospitava un milione e mezzo di abitanti; ora arrivano a stento a trentamila.

L’elezione del pontefice è di fatto un affare privato tra gli imperatori (gli Ottoni) e le più potenti famiglie romane, come i Crescenzi o i conti di Tuscolo. Quando un papa non si comporta come dovrebbe, nel migliore dei casi lo si depone. Giovanni XII viene esiliato nel 964, accusato, tra le altre cose, di aver ridotto il Laterano a un lupanare, appiccato incendi qua e là (un classico a Roma, dove ci voleva davvero poco perché le case prendessero fuoco), giocato a dadi invocando Giove e Venere, indossato l’elmo e la corazza, accecato il suo padre spirituale e, come se non bastasse, brindato al diavolo.

A Giovanni XIV era andata ancora peggio: alla morte di Ottone II, che lo sosteneva, gli avversari non ci pensano due volte a imprigionarlo a Castel Sant’Angelo e a farlo morire di fame (o avvelenato: gli storici ancora non sono concordi).

Forse anche per questo il successore, papa Giovanni XV, cerca da subito di stringere alleanze all’estero, di aprire nuovamente la Chiesa romana verso gli altri grandi prelati: gli arcivescovi di Inghilterra, di Francia, di Germania e d’Italia, che vuole conoscere personalmente. Perciò, al momento in cui questi ricevono il pallium – la striscia di stoffa di lana bianca sulle spalle che portano gli arcivescovi più importanti – vuole essere lui stesso a consegnarlo con le proprie mani. E così da ogni angolo d’Europa i religiosi si mettono in viaggio, per un itinerario lungo, pericoloso ma affascinante.

La strada di Sigerico

Sigerico, detto “Il Serio”, è uno di questi. Dall’abbazia di Glastonbury, dove viene ordinato monaco, ha una carriera importante, che lo porta a venire eletto arcivescovo di Canterbury nel 990 dopo Cristo, a quarant’anni.

Anche lui viene chiamato a Roma per ricevere il suo pallium. Obbediente si mette in marcia, scegliendo con cura la strada da seguire: sono 1.600 chilometri di viaggio all’andata e altrettanti al ritorno, col rischio di venire assaliti dai briganti, trovare valichi inaccessibili per il maltempo, attraversare zone paludose e malsane. Ma a Roma ci arriva, vede più di una ventina di chiese nel giro di un paio di giorni e, dopo essere stato ricevuto il papa, se ne torna a Canterbury.

A questo punto, però, Sigerico fa una cosa apparentemente di nessuna importanza, ma che invece si rivelerà cruciale nei secoli a venire: tiene un diario, e annota tutte le sue tappe nel viaggio di ritorno. Tocca località che oggi non esistono più o piccoli poderi, ma anche città. Venti chilometri al giorno, con qualsiasi tempo. Perlopiù a piedi. Da Roma a Sutri. Vetralla. Acquapendente. Siena. San Gimignano. Lucca. Camaiore. Luni. Santo Stefano Magra. Aulla. Pontremoli. Poi attraversa la Cisa (un valico importantissimo, uno dei pochi degli Appennini a non coprirsi di neve durante l’inverno), piega in Emilia fino a Fidenza, risale in Lombardia passando per Pavia, poi in Piemonte a Vercelli, Santhià, Ivrea, entra in Val d’Aosta da Pont-Saint-Martin e attraversa il passo del Gran San Bernardo.

Sigerico non si è inventato di sana pianta il percorso, ovviamente. È quel che rimane del tracciato delle antiche vie romane con le necessarie deviazioni, frutto dei tantissimi pellegrinaggi medievali verso San Pietro, di prove ed errori, perfino di miracoli: ad esempio mentre Moderanno, vescovo di Rennes, percorre la strada un paio di secoli prima di Sigerico, un evento prodigioso durante il cammino lo spinge a chiedere al re longobardo Liutprando il permesso di costruire un monastero in cima al Monte Bardone. E proprio il Monte Bardone sarà una tappa obbligatoria per passare dalla zona di Parma alla Lunigiana, per poi scendere fino a Roma.

In più, sappiamo che si trattava di un itinerario consolidato, tanto che non differisce in sostanza da quello che nel 1152 l’abate islandese Nikulás da Munkaþverá segue per arrivare a Roma e poi a Gerusalemme. In questi anni, il percorso viene già indicato con il nome che poi conserverà nei secoli a venire: la Via Francigena.

La “peregrinatio maior”

Via Francigena, o Franchigena, o più propriamente Vie Francigene, visto che più di un percorso unico si tratta di un fascio di strade ricchissimo di alternative. Con la caduta dell’Impero romano il fulcro politico dell’Europa si sposta altrove: in Francia, in Germania, in Inghilterra. Ma il valore simbolico e religioso di Roma è intatto: per questo ogni anno migliaia di pellegrini si mettono in viaggio. Il pellegrinaggio alla tomba di Pietro era del resto una delle tre «peregrinationes maiores», insieme a quella verso Santiago di Compostela e la Terra Santa.

Come detto, le varianti erano molte, soprattutto per quanto riguardava i passi e i valichi. Sigerico attraversa il Gran San Bernardo, ma un altro percorso molto seguito è quello che da Chambéry passa per il Colle del Moncenisio e arriva in Val di Susa, passando poi per Torino, Chivasso e Vercelli. Altri punti difficili erano i guadi, come quelli del Po, dove spesso era necessario pagare una gabella. Sigerico lo passa a Calendasco, che giaceva sulle rovine dell’antico porto romano di Piacenza.

Insomma, è davvero impossibile parlare di un percorso unico: prima di tutto perché – com’è ovvio – i pellegrini arrivavano da ogni parte d’Europa, e chi arrivava proprio dalle zone della Francia meridionale o della Spagna di Santiago sceglieva altri itinerari; e poi perché l’occasione del periodo poteva suggerire deviazioni per puro spirito di prudenza. Ad esempio, durante le guerre era altamente sconsigliato passare nei pressi di castelli o città fortificate, che viceversa nei momenti di pace rappresentavano guardiani immobili e sicuri del percorso dei viandanti.

Le tappe, dal canto loro, non servivano soltanto a riposare, ma erano – e sono ancora oggi – parte di un itinerario di devozione. L’adorazione delle reliquie dei Santi conservati presso le diverse chiese, ad esempio. A Lucca si venerava il Volto Santo, un crocifisso ligneo che secondo la tradizione mostrava il vero volto di Cristo ed era arrivato fino a Luni su una nave priva di equipaggio, docilmente accostatasi alla costa su invito del vescovo lucchese. I pellegrini che arrivavano dalla Scozia o dall’Irlanda passavano nei pressi di Forlì, dove giaceva una chiesa, San Pietro in Scotto o in Scottis. Dopo la morte di San Francesco, in molti volevano portare omaggio al Santo passando da Assisi.

La riscoperta della Francigena e la Via della Costa

Oggi la Via Francigena – con le sue deviazioni, o “diverticoli” – sta attraversando un momento di intensa riscoperta, e pellegrini, anche in costume, scelgono di seguire le antiche mulattiere, sempre meglio segnalate, fino a Roma. È un altro aspetto della rivincita del turismo slow, che consente di vedere angoli d’Italia fuori dalle mete più classiche, riscoprendo il piacere della camminata senza fretta e dell’enogastronomia delle diverse regioni attraversate. Come a Santiago. Nuove strutture ricettive stanno spuntando, anche in questo caso ostelli e agriturismi e non certo hotel di lusso. E le istituzioni dimostrano un interesse sempre maggiore: è un modo perfetto per valorizzare il territorio, senza inventarsi improbabili attrazioni ma basandosi sul passo paziente che migliaia e migliaia di pellegrini senza volto, nei secoli, dai re ai vescovi fino ai contadini più umili, hanno calcato nel suolo, giorno dopo giorno, con una determinazione che a molti oggi appare sconosciuta.

La Francigena passa anche per la Liguria: per la precisione dalle incantate rovine di Luni e da Santo Stefano Magra, dopo aver svalicato la Cisa e prima di dirigersi in Lunigiana. Ma tra i vari “diverticoli” ce n’è anche uno che segue tutta la costa della regione, e che invece di partire da Canterbury sceglie come prima tappa Santiago di Compostela: è la Via della Costa, che con infinita pazienza Anna Rocchi e Silvio Calcagno hanno ricostruito basandosi su antichi documenti e riscoprendo con pazienza sentieri medievali e antichi tratti di via Romana quasi perduti, segnandoli con i cartelli e con la freccia gialla. Un viaggio che passa per Sanremo, Torrazza, Andora, Loano, Noli, Varazze, la Commenda di Prè a Genova, Camogli, Sestri Levante, Levanto, Volastra, rimanendo sempre lontani dalle strade ad alta percorrenza. Dodici giorni da Ponte San Ludovico fino a Sarzana camminando 30 chilometri al dì: del resto, le difficoltà di oggi non sono, per fortuna, quelle dell’epoca di Sigerico. Ma per tutto il resto si può tornare a essere veri pellegrini.

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